L’una vegghiava a studio della culla, e, consolando, usava l’idioma che prima i padri e le madri trastulla
Paradiso, XV: 121-123
Il 20 novembre di ogni anno ricorre la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in ricordo della ratifica della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita a New York il 20 novembre 1989.
La Biblioteca Istituzionale e l’Archivio Storico della Città metropolitana di Roma Capitale partecipano alla giornata offrendo un piccolo spunto di riflessione sulla visione dell’infanzia e del concetto di bambino, anche dei suoi diritti e della sua predisposizione, come traspaiono dalla DIvina Commedia, nell’anno delle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.
In un interessante articolo di Giovanni Corsello, Professore Ordinario di Pediatria Università di Palermo, Per un Dante “pediatrico”: neonati e bambini nella Divina Commedia, pubblicato sul sito della Società Italiana di Pediatria, sono elencati alcuni versi della Divina Commedia in cui “si colgono numerosi riferimenti alla vita dei bambini, che sono definiti a volte fanciulli e a volte fanti o fantolini. In più occasioni emerge una consapevolezza delle peculiarità dell’infanzia rispetto alle altre fasi della vita. Una maniera di porgersi e di pensare che appare moderna e sicuramente avanzata, considerando il secolo in cui viveva, in cui si coglie anche un riconoscimento del diritto dei bambini a crescere in salute, benessere e serenità.” Concetto non scontato per l’epoca.
Nei versi della Divina Commedia, troviamo, dunque, piccoli cenni alla vita reale e familiare di un bambino. La figura materna emerge come naturalmente fondamentale nei primi anni di vita dei bambini, ma sorprende cogliere in Dante toni e suggestioni lievi ma significative di gesti, atteggiamenti e brevi squarci di vita intima e quotidiana, potremmo dire universali.
Nei versi posti all’inizio si svela ai nostri occhi l’immagine intima e delicata del gesto attento e concentrato nel cullare il neonato, rassicurato dal linguaggio infantile che diverte per primi i genitori. Sorprende piacevolmente la citazione anche della figura paterna che si diverte a “trastullarsi” insieme ai figli.
Quasi bramosi fantolini e vani, che pregano e ‘l pregato non risponde, ma, per fare essere ben la voglia acuta, tien alto lor disio e nol nasconde.
Purgatorio, XXIV: 108-111
Per descrivere una schiera di anime del Purgatorio che cercano inutilmente di raggiungere le mele di un albero troppo alto, Dante evoca l’immagine divertente di fantolini, bambini, impazienti e insistenti che desiderano “bramosi” qualcosa, pregando chi non li accontenta ma tiene comunque l’oggetto desiderato bene in vista in modo da mantenere alto il desiderio.
Lo duca mio di subito mi prese, come la madre ch’al rumore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, che prende il figlio e fugge e non s’arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camicia vesta;
Inferno, XXIII: 37-42
Dante paragona il sollecito e fulmineo salvataggio da parte di Virgilio a quello di una madre che, “svegliatasi nel cuore della notte per un incendio in casa, prende al volo il figlio e fugge quasi nuda pur di salvarlo, senza pensare ad altro neppure a vestirsi” (Giovanni Corsello, cit.).
piangean elli; e Anselmuccio mio disse: «Tu guardi sì, padre! che hai?»
Inferno, XXXIII: 50-51
Gaddo mi si gettò disteso a’ piedi, dicendo: «Padre mio, chè non m’aiuti?»
Inferno, XXXIII: 68-69
Non può mancare il doloroso, potente e tragico finale dell’amore paterno e la immane tragedia di un padre che non sa come alleviare le atroci sofferenze dei propri figli, nelle figure del Conte Ugolino e dei suoi figli rinchiusi nella torre pisana per ordine dell’Arcivescovo Ruggieri. “Il pianto, il figlio chiamato con un diminutivo colmo d’affetto, le domande angosciate al padre per il suo sguardo atterrito e per la sua impotenza. Una scena drammatica in cui pathos, disperazione, odio inestinguibile per il nemico feroce che si sta macchiando di un crimine così grande sono tutti rappresentati in pochi indimenticabili versi. La tragedia resta nello sfondo, evocata dalla potenza espressiva del dialogo drammatico tra il padre e i figli.” (Giovanni Corsello, cit.).
Tosto che ne la vista mi percosse l’alta virtù che già m’avea trafitto prima ch’io fuor di puerizia fosse, volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto, per dicere a Virgilio: ‘
Men che dramma di sangue m’è rimaso che non tremi: conosco i segni de l’antica fiamma’. Ma Virgilio n’avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo patre, Virgilio a cui per mia salute die’mi; […]
Purgatorio, XXX: 42-51
L’apparizione di Beatrice nel XXX canto del Purgatorio, suscita in Dante, profondamente scosso in ogni sua goccia di sangue dal ricordo dell’emozione provata già dal suo primo – reale – incontro, ai tempi della loro “puerizia”, lo stesso spavento di un bambino che corre dalla mamma in preda alla paura, cercando conforto nel padre Virgilio, ma si accorge sbigottito che non è più al suo fianco.
E come fantolin che ‘nver’ la mamma tende le braccia, poi che ‘l latte prese, per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma;
Paradiso, XXIII: 121-123
Anche questi brevi versi ci restituiscono la semplice e intima visione del bambino che ha appena preso il latte e cerca con riconoscenza e amore l’abbraccio della mamma. Un gesto “naturale”, che irrompe anche nelle coeve raffigurazioni pittoriche delle Madonne con Bambino, che abbandonano pose ieratiche per descrivere il sentimento innato di amore puro e grato dei Beati alla vista dell’ascensione di Maria. Per un neonato la madre è tutto, di fronte all’amore divino, gli uomini sono fragili e incompleti ma puri come un neonato.
Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante che bagni ancora la lingua alla mammella.
Paradiso, XXXIII: 105-108
“Dante al termine del suo viaggio, in prossimità della visione finale di Dio, non riesce a trovare le parole per esprimere ciò che vede. Le sue parole diventano scarne e inadeguate come quelle di un lattante che ha ancora la lingua bagnata di latte materno. […] Ci colpisce che in prossimità della conclusione di tutto il poema, per esprimere il suo stato di incantamento lirico e religioso di fronte alla rivelazione, Dante ricorra come fonte di ispirazione al lattante mentre estasiato assapora il latte che ancora sgorga dal seno materno.”.(Giovanni Corsello, cit.). Dante, ancora una volta, sottolinea l’impossibiltà di poter descrivere appieno, con linguaggio adeguato, l’approssimarsi della visione di Dio: non è in grado di esprimersi come un neonato che ancora viene allattato e non ha ancora sviluppato appieno le capacità cognitive.
L’educazione e l’istruzione
La cara e buona immagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate come l’uom s’etterna.
Inferno, XV: 82-85
Il poeta ricorda con affetto, gratitudine e devozione filiale Sir Brunetto Latini, uomo di lettere dedito all’educazione dei giovani, notaio e uomo politico di parte guelfa a Firenze, che era stato suo maestro e che gli aveva insegnato, con pazienza e costanza valori eterni e universali.
Così la madre al figlio par superba, com’ella parve a me: perché d’amaro sent’il sapore della pietade acerba.
Purgatorio, XXX: 79-81
Quali i fanciulli, vergognando, muti con li occhi a terra stannosi, ascoltando e se riconoscendo e ripentuti,
Purgatorio, XXXI: 64-66
Altri due piccoli scorci di “dialettica” familiare, anche molto attuale e universale. Dante paragona Beatrice a una madre severa che mentre rimprovera il figlio, suscita in lui il sapore amaro del rimbrotto, acerbo ma a fin di bene. E più avanti, continua a sentirsi come i fanciulli che, rimproverati, restano muti e con gli occhi bassi consapevoli delle proprie colpe e pentiti.
Nel Trattatello in Laude di Dante, Boccaccio “ricostruisce” l’infanzia e l’educazione del Sommo Poeta, a partire dal sogno della madre, incinta, che sogna di dare alla luce “uno figliuolo” ai piedi di un altissimo alloro, accanto ad una sorgente. Il neonato inizia subito a nutrirsi delle bacche dell’alloro, (allegoria della poesia) e bevendo dalla sorgente (allegoria della filosofia) divenendo “pastore”, ma cadendo si trasforma in pavone. La figura del pavone racchiude i molteplici significati e importanza della Divina Commedia di cui è l’allegoria: le piume angeliche dell’animale alludono alla bellezza dei canti, i piedi sudici che calpestano il terreno al linguaggio volgare, fino al verso sgradevole del pavone che è simbolo della condanna dei peccatori.
Nel Capitolo III, Boccaccio descrive il tipo e l’ampiezza degli studi di Dante, fin dalla prima fanciullezza, di cui appunto Ser Brunetto Latini, fu uno dei maestri, tra i più cari e importanti.
Ma, quale che ella si fosse, lasciando stare il ragionare della sua infanzia, nella quale assai segni apparirono della futura gloria del suo ingegno, dico che dal principio della sua puerizia, avendo gia li primi elementi delle lettere impresi, non, secondo il costume de’ nobili odierni, si diede alle fanciullesche lascivie e agli ozii, nel grembo della madre impigrendo, ma nella propia patria tutta la sua puerizia con istudio continuo diede alle liberali arti, e in quelle mirabilmente divenne esperto. E crescendo insieme con gli anni l’animo e lo ’ngegno, non a’ lucrativi studi alli quali generalmente oggi corre ciascuno, si dispose, ma da una laudevole vaghezza di perpetua fama [tratto], sprezzando le transitorie ricchezze, liberamente si diede a volere avere piena notizia delle fizioni poetiche e dell’artificioso dimostramento di quelle. Nel quale esercizio familiarissimo divenne di Virgilio, d’Orazio, d’Ovidio, di Stazio e di ciascuno altro poeta famoso; non solamente avendo caro il conoscergli, ma ancora, altamente cantando, s’ìngegnò d’imitarli, come le sue opere mostrano, delle quali appresso a suo tempo favelleremo. E, avvedendosi le poetiche opere non essere vane o semplici favole o maraviglie, come molti stolti estimano, ma sotto sé dolcissimi frutti di verità istoriografe o filosofiche avere nascosti; per la quale cosa pienamente, sanza le istorie e la morale e naturale filosofia, le poetiche intenzioni avere non si potevano intere; partendo i tempi debitamente, le istorie da sé, e la filosofia sotto diversi dottori s’argomentò, non sanza lungo studio e affanno, d’intendere. E, preso dalla dolcezza del conoscere il vero delle cose racchiuse dal cielo, niuna altra più cara che questa trovandone in questa vita, lasciando del tutto ogni altra temporale sollecitudine, tutto a questa sola si diede. E, acciò che niuna parte di filosofia non veduta da lui rimanesse, nelle profondità altissime della teologia con acuto ingegno si mise. Né fu dalla intenzione l’effetto lontano, perciò che, non curando né caldi né freddi, [né] vigilie né digiuni, né alcun altro corporale disagio, con assiduo studio pervenne a conoscere della divina essenzia e dell’altre separate intelligenzie quello che per umano ingegno qui se ne può comprendere. E così come in varie etadi varie scienze furono da lui conosciute studiando, così in vari studi sotto varii dottori le comprese.
Suggerimenti di lettura
Angela Giallongo, Il bambino medievale : educazione ed infanzia nel Medioevo, Bari : Dedalo, [1990)
Chiara Frugoni, Vivere nel Medioevo : donne, uomini e soprattutto bambini, Bologna, Il mulino, 2017
Risorse digitali:
Giovanni Corsello, Per un Dante “pediatrico”: neonati e bambini nella Divina Commedia
“Il bambino medievale. Storia di infanzie” di Angela Giallongo
Immagini:
Madonna del Solletico, Masaccio 1426-1427
Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino
Incontro con Beatrice e apoteosi di Maria in Salvador Dalí : La Divina Commedia e altri temi. Opere grafiche, testo di Gian Luca Gualandi, Bologna, Bora, stampa 1994