La Riserva di Monte Catillo, che prende il nome dal mitico personaggio proveniente dall’Arcadia a cui si fa risalire la fondazione della città di Tivoli, presenta interessanti segni di attività umane del passato: tracce di antichi insediamenti pastorali, resti di ville romane, sepolture, acquedotti, cisterne e torri medievali. Tipiche della zona sono le numerose “calcare”, particolari fornaci usate fino a pochi decenni fa per “cuocere” i sassi calcarei e preparare la calce per l’edilizia locale.
Il territorio della Riserva di Monte Catillo è strettamente collegato alle vicissitudini dell’antichissima città di Tivoli, collocata interamente al suo interno. Sede vescovile fin dal IV secolo, subì le devastanti invasioni barbariche operate da Totila re dei Goti, che successivamente la restaurò (547-548). Fu nuovamente invasa dai Longobardi e dai Saraceni nel corso del X secolo. Successivamente fu contesa dai diversi imperatori ed entrò in conflitto sia con l’Abbazia di Subiaco, il cui territorio all’epoca ricadeva nella giurisdizione della diocesi tiburtina, sia con il papato, quando appoggiò l’antipapa Anacleto contro Innocenzo II (1142). A Tivoli morì il papa Eugenio III nel 1153, mentre due anni dopo vi sostarono papa Adriano IV e l’imperatore Federico Barbarossa. Dotatasi di una costituzione comunale fin dal IX secolo ebbe, come molti comuni del territorio, un rapporto conflittuale con il senato romano per tutto il periodo medievale in cui, proprio in virtù della precaria situazione politica e delle continue lotte tra famiglie nobiliari, ebbero impulso sia gli insediamenti monastici sia, soprattutto, le costruzioni difensive spesso erette sulle rovine dei monumenti dell’antichità. In questo contesto si collocano probabilmente anche le strutture del cosiddetto “Castellaccio”, risalente presumibilmente al XIII secolo, i cui ruderi sono ancora visibili all’interno dell’area protetta nella collina al di là della Valle Gelata.
Nel corso del Quattrocento il Comune di Tivoli perse man mano la propria autonomia comunale, fino a divenire parte, se pure con amministrazione separata, della Reverenda Camera Apostolica nel 1522. Da allora divenne residenza di cardinali prestigiosi come Alessandro Farnese e Ippolito d’Este, che vi costruì, a partire dal 1551, la sua villa trasformando l’antico convento di S. Maria Maggiore. Nel 1638 Urbano VIII Barberini istituì la nuova diocesi abbaziale. Nel ‘700 vi soggiornarono sia Carlo di Borbone sia gli austriaci.
Già dalla fine del Seicento Tivoli era diventata una delle mete favorite del famoso Grand Tour, un lungo viaggio in Europa fatto soprattutto da giovani aristocratici ed artisti che si recavano a Roma, ma poi spaziavano per la Campagna Romana, attratti da quella rara sintesi di opere umane e di bellezze naturali, fonte inesauribile di ispirazione artistica. Ma se in un primo tempo la visione dell’ambiente naturale aveva costituito solo uno spunto, poi rielaborato e filtrato attraverso una concezione “classica” del paesaggio, fu soprattutto nel corso dell’Ottocento che artisti italiani e stranieri raffigurarono con spirito più illuminista e razionale i tanti suggestivi angoli dei borghi intorno a Roma, lasciandoci così una preziosa testimonianza di monumenti, luoghi e attività di quel periodo.
Da menzionare gli acquerelli che Ettore Roesler Franz ci ha lasciato degli uliveti intorno a Tivoli, presenti anche sul Catillo, o la veduta di Onorato Carlandi nei pressi di Quintiliolo, quella delle Cave di travertino di Enrico Coleman, la rappresentazione delle Cascate di Tivoli con ponte San Rocco ad opera di Christophedies, che documenta il paesaggio di una zona del Catillo prima delle successive trasformazioni operate per la canalizzazione dell’Aniene, le cui piene erano da sempre motivo di allagamenti e disastri. A uno di questi artisti, Coleman, è dedicato un sentiero lungo circa 100 km che nel tratto iniziale attraversa la Riserva Naturale di Monte Catillo (sentiero 331) per poi proseguire attraverso i Monti Lucretili e i Monti Simbruini.