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Cristina Michetelli a “L’8 marzo Rinasce”: “Implementiamo le fasi di prevenzione e protezione delle donne: un centro antiviolenza per ogni quartiere”

8 Marzo 2022

Buongiorno a tutte e a tutti,

Grazie prima di tutto alla consigliera delegata alla cultura e alle politiche sociali Tiziana Biolghini per aver organizzato questo appuntamento. Saluto il nostro Vicesindaco Pierluigi Sanna, la Giunta, il Capo Gabinetto e tutti i consiglieri e le consigliere presenti in questa giornata che apre le porte alla festa dell’8 Marzo di domani. E saluto con grande piacere la Dott.ssa Paola di Nicola, che oggi è qui con noi. Una Giudice con cui ci conosciamo da tempo, da sempre impegnata profondamente, con grande abnegazione e sempre con profondo equilibrio nel suo delicato lavoro di Magistrato. Ma anche una Giudice dedita ad un grande impegno sociale, una donna altamente qualificata che ha sempre messo la sua altissima preparazione al servizio di tutte e che porta avanti con sobrietà, intelligenza e passione la nostra battaglia, quella di tutte le donne, la battaglia per il riconoscimento sempre e ovunque della nostra dignità, dei nostri diritti ad essere rispettate per i nostri talenti, per le nostre sensibilità e per le nostre differenze; la nostra battaglia per ottenere pari opportunità nell’accesso allo studio, al lavoro, ai migliori lavori, alle posizioni apicali, per le pari opportunità nell’assumere le responsabilità ed avere la possibilità di dimostrare le nostre capacità. Come voi sapete, oltre ad essere Consigliera delegata di Città Metropolitana di Roma Capitale al patrimonio e bilancio, svolgo ormai da moltissimi anni la professione di Avvocato penalista e mi occupo anche io di reati da “codice rosso”, difendendo le vittime di maltrattamenti, abusi, violenze, fino purtroppo alla difesa dei congiunti di donne uccise per mano di chi diceva di voler loro bene. Tanti volti, tante storie cristallizzate nelle carte dei fascicoli, storie di soprusi, di donne rese schiave, annullate, di botte ricevute per una parola di troppo, per uno sguardo di troppo, di ferite inferte solo per aver espresso la volontà di essere libere. Purtroppo oggi, dopo l’esperienza del Covid e del lockdown, abbiamo registrato un aumento di questi reati, di maltrattamenti in famiglia e violenze. Dobbiamo assolutamente fare in modo di invertire la direzione. Dobbiamo aiutare le donne a denunciare e a liberarsi dal dolore delle violenze. Oggi dobbiamo dire che nelle Procure, prima, e nei Tribunali, poi, abbiamo dei pool specializzati, ed anche nelle questure, come qui a Roma, abbiamo personale preparato e competente a raccogliere le grida di aiuto. E tuttavia noi dobbiamo implementare le fasi della prevenzione e della protezione delle donne. Pensiamo prima di tutto al ruolo fondamentale che possono svolgere i centri antiviolenza. Roma oggi non ne ha nemmeno uno per Municipio, mentre noi stiamo pensando, anche nelle commissioni capitoline, ad un centro antiviolenza per ogni quartiere. E’ partito pochi giorni fa il bando della Regione Lazio per aprire due centri antiviolenza nelle Università, di cui uno alla Sapienza di Roma, per arrivare più vicino alle giovani donne, in quella rete che le amministrazioni a tutti i livelli, dalla Regione alla Città Metropolitana, al Comune e ai Municipi devono costruire, per offrire un servizio non frammentato e residuale, ma capillare e diffuso. Pensiamo agli assistenti sociali e ai servizi sociali sui territori, che vanno potenziati e che, come anche contenuto nelle linee di programma del nostro Sindaco Roberto Gualtieri, vanno implementati negli organici e con sedi più adeguate. Pensiamo ancora alle case rifugio e a quelle di seconda accoglienza per le donne vittime di violenza e maltrattamenti e spesso per i loro figli minori. Perchè quando una donna denuncia sa che non può tornare a casa e allora deve sapere dove andare, spesso con i suoi figli. Noi consigliere di Città Metropolitana di Roma e di Roma Capitale stiamo pensando anche con il Comune di Roma e con l’Assessora Monica Lucarelli ad un servizio di coordinamento, svolto dagli enti Comune e Città Metropolitana, delle disponibilità, mettendo in rete associazioni e operatori che in tempo reale forniscano la possibilità di accoglienza. Ma occorre pensare anche ad un fase successiva, alla fase successiva alla violenza, quando la donna ha bisogno di ricominciare a vivere ed ha bisogno, prima di tutto, di reinserirsi nei processi produttivi e nel mondo del lavoro. C’è infatti un aspetto che spesso è poco considerato e che è quello della cosiddetta violenza economica che colpisce la donna. E questo avviene sotto diversi aspetti. A volte si manifesta con l’intervento dell’uomo che chiede alla donna di stare a casa, di non lavorare e di occuparsi dei figli. Talvolta questo è il primo atto per rendere la donna dipendente da sé. La violenza economica in questi casi si manifesta in una serie di atti di controllo e monitoraggio del comportamento della persona in termini di uso e distribuzione del denaro, con la costante minaccia di negarle risorse economiche, esponendola a debiti, o ancora impedendole di avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale e di utilizzare le proprie risorse secondo la sua volontà. Ovviamente lo scopo è quello di impedire che la donna possa diventare economicamente indipendente, per poter esercitare sulla stessa un controllo indiretto, ma estremamente incisivo. Si afferma quindi la superiorità economica del marito, del partner, mentre la donna è posta in uno stato di dipendenza, costretta a chiedere le risorse necessarie per le spese quotidiane e a giustificarne l’utilizzo, e spesso tutto ciò si risolve in una forma di umiliazione o si accompagna a ricatti. La dipendenza economica si tramuta in dipendenza dal partner e progressiva riduzione dell’autonomia della persona. Spesso la donna stenta a riconoscere questo tipo di violenza, a causa di condotte ancora culturalmente giustificate in contesti culturali in cui è normale che sia l’uomo a detenere il controllo economico, a prescindere dall’eventuale contribuzione da parte della donna lavoratrice. Ancora oggi tre donne su dieci in età lavorativa non sono titolari di un conto corrente e salgono a cinque nel Sud del Paese. Convincere una donna ad abbandonare la propria attività lavorativa significa anche isolarla. L’isolamento dal lavoro, dalle amiche, dalla famiglia è una delle caratteristiche che spesso accompagna i fenomeni di violenza in famiglia, per rendere la vittima più sola e per impedirle di parlare, per renderla più debole. A volte invece il posto di lavoro viene abbandonato dalla donna come conseguenza della violenza subita. Occorre cominciare a pensare ai diritti ‘economici’ delle donne oggetto di violenza. Una donna che ha subito violenza e che magari è dovuta scappare con i figli, ha diritto, se ce l’ha ancora, prima di tutto a conservarsi un lavoro. Occorre prevedere che la donna che abbia subito atti di violenza o molestie possa modificare o sospendere il contratto di lavoro per un periodo adeguato secondo le sue esigenze. Ad esempio in Spagna è prevista in questi casi una sospensione fino ad un massimo di 18 mesi. Oppure nel pubblico impiego possono essere stabilite norme per l’assunzione come quota riservata di donne che a seguito della violenza subita siano state obbligate a cambiare il luogo di lavoro ed eventualmente residenza. A coloro che non hanno un reddito personale perché sono state private a seguito delle violenze subite della possibilità di averlo, e che rischiano, per età e formazione, di non trovare dopo una collocazione sul mercato del lavoro, occorre fornire supporti e sostegni, ma anche dei progetti in cui inserirsi, ad esempio nelle case di seconda accoglienza, dove si può pensare a cooperative e a finanziamenti mirati. O ancora occorre prevedere la priorità di assegnazione degli alloggi di edilizia popolare alle donne vittime di violenza e costrette ad abbandonare la loro abitazione. Dunque, spetta allo Stato e a tutte le amministrazioni cooperare per fornire sostegni sociali ed economici. Ma la strada principale per sconfiggere tutto questo è la prevenzione, che non può che attuarsi sul terreno dell’educazione culturale, attraverso una metodica volta ad abbattere gli stereotipi basati sulla discriminazione di genere. Occorre una rete fatta da istituzioni, enti, scuola, servizi sociali, terzo settore, che diffonda cultura, educazione sentimentale, rispetto e uguaglianza di tutti i generi, che agisca sulle disuguaglianze, sul disagio, sulla scolarizzazione e che dia a tutti le medesime possibilità di crescere in un ambiente sano e migliore. Noi come Città Metropolitana sappiamo che il PNRR sarà una grande occasione per svolgere un grande lavoro di inclusione anche su questo. La Missione 5, denominata “Inclusione e Coesione”, nella cosiddetta Componente 2, dedicata a “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore” sarà quella che potrà essere utilizzata per questa finalità. Ricordiamoci che uno degli obiettivi che i progetti del Next Generation EU devono avere è quello della parità di genere. E in questo ambito abbiamo approvato pochi giorni fa in Città Metropolitana i cinque progetti del piano PUI Metropolitano di Roma. Sono poli culturali civici e di innovazione, a partire dal piano la riqualificazione strutturale, energetica e digitale di 21 biblioteche esistenti e per la creazione di 9 nuove biblioteche che fungano anche da centri culturali polivalenti e innovativi, aperti con orari estesi e dotati di spazi liberi di incontro e sperimentazione. Poi i poli dello sport, del benessere e della disabilità, votati all’inclusione e poi i tre poli di Santa Maria della Pietà, di Corviale, di Tor Bella Monaca con estensione fino a Tor Vergata. Si tratta di un potenziamento dei servizi sociali e culturali, del miglioramento della qualità dello spazio pubblico e della mobilità per avvicinare questi quartieri al resto della città e per rendere la città più fruibile. Il tutto nell’ambito del progetto della Roma dei cosiddetti “15 minuti”. Un a cultura diffusa e intesa in senso lato, che non deve e lasciare nessuno solo e nessuno indietro. Ricordiamo che Città Metropolitana nel suo statuto come missione quella promuovere, attraverso i suoi organi e le sue politiche, il rispetto dei diritti delle donne, di favorire le politiche per la promozione delle pari opportunità, della non discriminazione tra gli abitanti del suo territorio e per il coinvolgimento partecipativo delle cittadine. Il nostro ente ha aderito alla Convenzione di Istanbul e condanna la violenza domestica e ogni altra forma di violenza contro le donne ed è prioritario il nostro impegno con tutti i nostri mezzi e a tutti i livelli istituzionali per contrastare ogni forma di discriminazione lesiva della dignità della donna. Noi siamo pronti a supportare, e lo dico come delegata al patrimonio e bilancio, i Comuni e la Regione nei loro progetti di sostegno, di prevenzione e di reinserimento delle donne vittime di violenza e soprattutto saremo in prima fila nei progetti educativi e culturali che verranno messi in rete per vincere insieme questa battaglia. Come dice la bella pubblicità che in questi giorni sta andando in onda sulle nostre reti tv nazionali, non vogliamo aspettare 135 anni, ma vogliamo agire adesso e con la partecipazione di tutte e di tutti.

Cristina Michetelli, Consigliera delegata Bilancio e Patrimonio di Città metropolitana di Roma Capitale.